Giu peculato - omesso versamento di quanto dovuto
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 15 giugno 2023 N. 25844
Massima
Nel delitto di peculato, laddove la condotta dell'agente sia consistita nell'omesso versamento di quanto dovuto, l'individuazione del momento in cui l'agente abbia "invertito il titolo di possesso" e si sia dunque appropriato del bene o del denaro può rivelarsi dubbia solo laddove la condotta non si sia estrinsechi in comportamenti attivi, di per sè solitamente espressivi della volontà del reo di agire come se fosse il proprietario del bene o delle somme di denaro, non anche quando si concretizzi nella mera ritenzione delle somme, in un "non fare", cioè in un'omissione protratta per un certo lasso di tempo

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE - 15 giugno 2023 N. 25844

1. Ritiene la Corte che il ricorso presentato nell'interesse di A.A. sia inammissibile.

2. Il primo e il secondo motivo del ricorso, strettamente connessi tra loro e perciò esaminabili congiuntamente, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità perchè manifestamente infondati.

I rilievi formulati dal ricorrente si muovono, infatti, nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle risultanze istruttorie e si risolvono in non consentite censure in fatto all'iter argomentativo seguito dalla sentenza di merito, nella quale, per altro, v'è puntuale risposta a detti rilievi, in tutto sovrapponibili a quelli già sottoposti all'attenzione della Corte territoriale.

La sentenza impugnata ricostruisce in fatto la vicenda con motivazione esaustiva, immune da vizi logici e strettamente ancorata alle emergenze processuali e, in particolare, alla documentazione acquisita e al contenuto delle deposizioni testimoniali assunte nel giudizio di primo grado: sicchè può ritenersi definitivamente acclarato che il notaio A.A., lungi dal ritardare per negligenza il versamento all'agenza delle entrate del denaro che gli era stato consegnato dai proprio clienti per il pagamento dell'imposta di registro, aveva dolosamente falsificato le attestazioni di avvenuta registrazione di ben sessantasei atti da lui rogati in circa un anno e mezzo, apponendo sulle relative copie originali mendaci numeri e date di registrazione, così comprovando la "interversio possesionis", comportandosi rispetto a quegli importi "uti dominus", e in tal modo integrando gli estremi oggettivi e soggettivi del reato di peculato continuato contestatogli.

Le doglianze difensive, per giunta formulate con margini di una certa indeterminatezza, non si confrontano adeguatamente con i passaggi motivazionali della sentenza impugnata nei quali i risultati conoscitivi innanzi sintetizzati erano stati adeguatamente esplicitati: con l'ulteriore precisazione di avere la Corte di merito sottolineato come l'esclusione di un mero errore ovvero di un comportamento colposo dell'odierno imputato fosse stata riscontrata dal fatto che, in quello stesso torno temporale, il prevenuto aveva rogato anche altri atti pubblici, per gli stessi provvedendo ad effettuare una regolare registrazione telematica e a versare i relativi importi all'agenzia delle entrate; iniziative che, invece, erano mancate per i sessantasei atti indicati nel capo d'imputazione, per i quali non vi era stato solo un mero ritardato versamento di quanto dovuto per l'imposta di registro, come la difesa ha infruttuosamente cercato di sostenere, ma la realizzazione di false attestazioni necessarie per dissimulare l'appropriazione dolosa della relative somme di denaro, che era già definitivamente avvenuta.

In tale ottica va pure negato che nella sentenza impugnata sia presente alcuna violazione della norma incriminatrice oggetto di addebito. La Corte di appello di Firenze ha fatto, invero, buon governo dei criteri ermeneutici in materia offerti dal Supremo Collegio, in base ai quali si è chiarito che, nel delitto di peculato, laddove la condotta dell'agente sia consistita nell'omesso versamento di quanto dovuto, l'individuazione del momento in cui l'agente abbia "invertito il titolo di possesso" e si sia dunque appropriato del bene o del denaro può rivelarsi dubbia solo laddove la condotta non si sia estrinsechi in comportamenti attivi, di per sè solitamente espressivi della volontà del reo di agire come se fosse il proprietario del bene o delle somme di denaro, non anche quando si concretizzi nella mera ritenzione delle somme, in un "non fare", cioè in un'omissione protratta per un certo lasso di tempo (in questo senso Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, De Marco, in motivazione, p. 2.3 e 2.4; conf. Sez. 6, n. 5233 del 19/11/2019, dep. 2020, Boggione, Rv. 278708).

Non è, dunque, rilevante - come i giudici di merito hanno posto in risalto nel caso di specie - che il pubblico ufficiale abbia in seguito provveduto a versare quanto in precedenza si era omesso di consegnare, bensì la presenza di dati fattuali di contesto sintomatici della sua volontà di comportarsi "uti dominus" rispetto a quei beni, vale a dire dimostrativi di un atteggiamento "appropriativo", che costituisce "l'in sè" del delitto in argomento.

Va, perciò, ribadito - anche in relazione alle peculiarità della fattispecie oggi in esame - il principio di diritto per cui, in tema di peculato, l'appropriazione del denaro, riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all'erario, si realizza non già per effetto del mero ritardo nell'adempimento, bensì allorquando si determina la interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria (in questo senso Sez. 6, n. 16786 del 02/02/2021, Conte, Rv. 281335- 02).

3. Il terzo motivo del ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

La difesa si è doluta del fatto che, a fronte di una motivazione nella quale la Corte di appello aveva quantificato in mesi quattro di reclusione la pena che andava eliminata in conseguenza della estinzione per prescrizione del reato del capo a), vi è stato un errore di computo nella quantificazione della pena finale indicata nel dispositivo.

L'imputato non ha, però, alcun interesse a denunciare un errore di calcolo della pena che si è tradotto in un risultato finale per lui più favorevole, in quanto è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte di cassazione che la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell'impugnante e l'eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso (Sez. U, Sentenza n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269).

4. Il quarto e ultimo motivo del ricorso, oltre ad essere stato formulato in termini molto generici, è inammissibile perchè avente ad oggetto una questione - quella della quantificazione della pena per il residuo reato di peculato continuato, in relazione al quale la Corte territoriale non ha operato alcuna rideterminazione limitandosi a richiamare la pena già inflitta dal giudice di primo grado - che non aveva costituito oggetto di alcuna specifica doglianza formulata con l'atto di appello.

L'art. 606, comma 3, c.p.p. prevede, infatti, espressamente come causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello.

5. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2023