Giu La confisca in casi particolari, ex art. 240-bis c.p., costituisce un'ipotesi di confisca obbligatoria
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 26 marzo 2024 N. 12366
Massima
La confisca in casi particolari, disciplinata dall'art. 240-bis cod. pen., definita anche "atipica", "allargata" o "estesa", costituisce un'ipotesi di confisca obbligatoria, la quale non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto del reato per il quale sia stata pronunciata condanna, bensì beni del reo che, al momento del loro acquisto, siano non giustificabili e di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attività svolta.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I PENALE - 26 marzo 2024 N. 12366

1. Il ricorso è fondato limitatamente al secondo motivo di censura, sicché deve essere accolto entro tali limiti.

2. Il primo motivo è infondato.

Le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza n. 27421 del 25/02/2021, Crostella, Rv. 281561, hanno chiarito che la confisca in casi particolari, disciplinata dall'art. 240-bis cod. pen., definita anche "atipica", "allargata" o "estesa", costituisce un'ipotesi di confisca obbligatoria, la quale non colpisce il prezzo, il prodotto o il profitto del reato per il quale sia stata pronunciata condanna, bensì beni del reo che, al momento del loro acquisto, siano non giustificabili e di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attività svolta. Essa costituisce una misura di sicurezza che opera in caso di accertata responsabilità per taluni reati tassativamente indicati, la quale "costituisce "spia", ovvero indice presuntivo della commissione di altre attività illecite, fattori di un arricchimento che l'ordinamento intende espropriare per prevenirne l'utilizzo quale strumento per ulteriori iniziative delittuose". L'accertamento giudiziale della configurabilità in tutti i suoi elementi costitutivi di una delle fattispecie criminose previste dall'art. 240-bis cod. pen. fonda il sospetto che il condannato abbia tratto dall'attività delittuosa la ricchezza di cui dispone, anche per interposta persona. Il giudizio di colpevolezza in ordine al reato commesso e la natura particolare di questo, idoneo ad essere realizzato in forma continuativa e professionale ed a procurare illecita ricchezza, fanno ritenere l'origine criminosa di cespiti, di cui si sia titolari in valore sproporzionato rispetto a redditi ed attività, in base alla presunzione relativa della loro derivazione da condotte delittuose ulteriori rispetto a quelle riscontrate nel processo penale, che, comunque, costituiscono la base della presunzione stessa.

Benché la confisca allargata trovi la sua collocazione ordinaria nell'ambito del giudizio di cognizione e della pronuncia che lo definisce, tuttavia, ai sensi dell'art. 183-quater disp. att. cod. proc. pen. (introdotto dal D.Lgs. n. 21 del 2018 che ha recepito i principi affermati da Sez. U., n. 29022 del 30/05/2001, Derouach, Rv. 219221), essa può essere applicata anche dal giudice dell'esecuzione dopo l'irrevocabilità della sentenza di condanna o applicazione della pena. Le Sezioni unite hanno anche chiarito che vi è una "perfetta simmetria del potere di ablazione in casi particolari" dei beni del condannato sia in fase di cognizione sia in quella di esecuzione, sicché anche in tale fase la confisca può attingere solo i beni esistenti e noti nella fase del procedimento, non potendo il giudice dell'esecuzione estendere il proprio giudizio ad altri cespiti non ancora entrati nel patrimonio dell'imputato.

La sentenza Crostella ha inoltre statuito che, benché non vi sia un nesso pertinenziale tra cosa e reato, e pur potendo l'acquisizione patrimoniale oggetto di confisca collocarsi in un momento successivo alla commissione dei "reati-spia", tuttavia, l'individuazione dei beni da sottoporre a vincolo deve avvenire nel rispetto di un criterio di "ragionevolezza temporale", nel senso che deve trattarsi di elementi patrimoniali non distaccati dal reato "da un lungo lasso temporale che renda irragionevole la ablazione e, comunque, non successivi alla pronuncia della sentenza di condanna o di patteggiamento". In sostanza, tali pronunce rappresentano il termine ultimo della presunzione di provenienza illecita dei beni del condannato e ciò tanto nel caso in cui la confisca sia disposta nella fase di cognizione, quanto in quella di esecuzione.

È tuttavia fatta salva la possibilità di disporre la confisca di beni acquistati in epoca successiva alla sentenza di condanna o applicazione pena, nel caso in cui essi costituiscano reimpiego di mezzi finanziari acquisiti in epoca antecedente a dette sentenze, oppure ove si tratti di denaro o altri strumenti di investimento mobiliare preesistenti e scoperti o rinvenuti solo in seguito.

3. Così delineati i tratti dell'istituto, giova innanzitutto rilevare che, nel caso di specie, il ricorrente ha solo genericamente dedotto che i beni oggetto di confisca non erano stati individuati in fase cognitiva, bensì a distanza di circa due anni dalla sentenza di applicazione della pena. Tuttavia, secondo il criterio di delimitazione temporale individuato dalle Sezioni unite Crostella, ciò che rileva ai fini dell'assoggettamento al vincolo ablatorio è il momento di acquisto dei beni, circostanza che, nella specie, non ha costituito oggetto di censura da parte del ricorrente. Quanto, poi, alla dedotta mancata individuazione in fase di cognizione dei beni confiscati dal giudice dell'esecuzione, occorre considerare non solo che l'annotazione della Guardia di finanza sulla cui base il pubblico ministero ha promosso l'incidente di esecuzione risale al 2016, ed è pertanto antecedente alla pronuncia della sentenza di applicazione della pena nei confronti del ricorrente, ma altresì la circostanza che, nel delimitare l'ambito temporale di indagine, il giudice dell'esecuzione ha individuato il termine finale dello stesso nel 2017, anno in cui è stata pronunciata la sentenza di patteggiamento, venendo pertanto in considerazione solo i beni e le utilità presenti nel patrimonio del A.A. solo fino a quel momento.

4. Il secondo motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.

L'art 240-bis, comma 1, stabilisce che, in caso di sentenza di condanna o di patteggiamento per uno dei reati "spia" dallo stesso individuati, il giudice disponga la confisca del denaro, dei beni e delle utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui sia titolare o abbia la disponibilità in misura sproporzionata rispetto al reddito o all'attività economica. Il vincolo ablatorio deve dunque cadere su specifici beni presenti nel patrimonio del condannato che siano non giustificabili e di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività svolta. Soltanto quando non sia possibile procedere alla confisca di detti beni, l'ultimo comma dell'art. 240-bis cod. pen. consente al giudice di ordinare la confisca per un valore equivalente di denaro, beni o altre utilità.

Nel caso in esame, non solo il pubblico ministero nel promuovere l'incidente di esecuzione aveva individuato i beni da assoggettare a confisca, ma - secondo quanto risulta dalla motivazione dell'ordinanza impugnata - il GIP aveva disposto una perizia per la stima degli immobili presenti nel patrimonio del A.A., e che risultano essere stati effettivamente oggetto di valutazione da parte del perito. Il giudice aveva, inoltre, dato atto della circostanza che era stata rinvenuta nella disponibilità del ricorrente la somma in contanti di 800.000 Euro da considerarsi di provenienza illecita.

Ciò nonostante, con l'ordinanza impugnata, il GIP ha disposto la confisca non già dei beni specificamente individuati come di valore sproporzionato rispetto al reddito, che erano stati specificamente individuati dalla perizia, bensì genericamente "di denaro, beni mobili e immobili, o altre utilità nella disponibilità di A.A. fino all'importo complessivo di Euro 1.018.061,24", omettendo ogni motivazione in ordine alle ragioni per cui era impossibile individuare i beni da confiscare ai sensi del comma 1, dell'art. 240-bis cod. pen. e si doveva quindi procedere alla confisca per equivalente. In tal modo, il giudice è incorso nel vizio di motivazione denunciato.

5. Per tali ragioni, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio per il giudizio al Tribunale di Savona, che colmerà le lacune motivazionali evidenziate in riferimento alle doglianze oggetto del secondo motivo.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Savona.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2024.