Giu Il rapporto tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 03 aprile 2024 N. 13640
Massima
Il rapporto tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro, avente ad oggetto un bene di cui sia obbligatoria la confisca, deve essere risolto in favore della seconda misura, prevalendo sull'interesse dei creditori.

Testo della sentenza
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - 03 aprile 2024 N. 13640

1. Con l'ordinanza di cui in premessa il tribunale di Como, in funzione di tribunale del riesame, adito ex art. 322 bis, c.p.p., confermava il decreto con cui il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Como, in data 22.12.2022, aveva rigettato la richiesta di revoca del sequestro preventivo disposto sulle disponibilità liquide delle società "Fallimento A.A. E C. Srl"; "Prima Comunicazione Group Srl", "Theoria E CO. Srl", tutte dichiarate fallite, nell'ambito del procedimento penale sorto a carico di A.A., B.B. e C.C., imputati per reati in tema di bancarotta fraudolenta e, il solo A.A., anche per autoriciclaggio e diversi reati in materia tributaria, in relazione al fallimento delle menzionate società, revoca avanzata dalla curatela dei predetti fallimenti.

In sintesi il tribunale del riesame, dato atto di un contrasto giurisprudenziale sul tema della possibilità o meno di sottoporre a sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex art. 12, D.Lgs. n. 74 del 2000, beni che, al momento dell'adozione del titolo cautelare reale, siano assoggettati alla procedura fallimentare sorta in seguito a dichiarazione di fallimento pronunciata in precedenza, posto che la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestirne il patrimonio, al fine di evitarne il depauperamento, conflitto per la risoluzione del quale sono state investite le Sezioni Unite Penali di questa Corte, con ordinanza emessa dalla Terza Sezione Penale in data 29.11.2023, e premesso che nel caso in esame il sequestro è stato adottato prima delle dichiarazioni di fallimento delle società in precedenza indicate, riteneva prevalente il vincolo imposto sulle somme rispetto ai diritti di credito vantati su di esse per effetto del fallimento. Inoltre, rilevato che l'unico limite alla prevalenza, sia quello dell'appartenenza dei beni a terzi estranei al reato, il tribunale affermava, da un lato, che le società "PCG" e "TEC" non potevano considerarsi ab origine soggetti estranei al reato, in quanto, all'epoca del sequestro, A.A. aveva una delega a operare su detti conti correnti, espressiva di una disponibilità delle relative somme in capo all'allora indagato; dall'altro, che anche la "GMC" non poteva considerarsi soggetto estraneo al reato, in quanto il conto corrente di cui si discute, a prescindere dalla correttezza o meno della relativa intestazione in capo alla "GMC in liquidazione", effettuata da Intesa Sanpaolo, ad avviso dell'appellante, per un mero errore posto che il conto doveva considerarsi nella piena disponibilità della procedura fallimentare, soggetto pacificamente estraneo al reato, era stato comunque alimentato con un unico giroconto proveniente, per l'appunto, dalla "GMC", il che, rileva il tribunale, conferma che si trattava di beni nella disponibilità della società, di cui quest'ultima non era stata spossessata, per effetto dell'ammissione al concordato preventivo. 2. Avverso il menzionato provvedimento, di cui chiedono l'annullamento, hanno proposto ricorso per cassazione il "Fallimento Theoria E CO. Srl", il "Fallimento A.A. E C. Srl in liquidazione" e il "Fallimento Prima Comunicazione Group Srl", con autonomi atti di impugnazione.

2.. In particolare il "Fallimento Theoria E CO. Srl", nel ricorso a firma dell'avv. Marco Franzini, lamenta: 1) violazione di legge, in relazione agli artt. 125, 321 e 322 bis, c.p.p., nonché difetto assoluto di motivazione, in ordine alla persistenza del periculum in mora in ordine al mantenimento della misura cautelare reale in danno della "Theoria E CO. Srl", tema prospettato in sede di appello cautelare, cui il tribunale non ha fornito risposta alcuna; 2) violazione di legge in relazione agli artt. 321, 322 bis, c.p.p., con riferimento agli artt. 42, l.fall. e 1-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, in punto di mancato riconoscimento della prevalenza delle ragioni del fallimento rispetto a quelle assunte nell'interesse dell'Erario; 3) violazione di legge e motivazione apparente, in relazione agli artt. 321, 322 bis, 322 ter, c.p.p., con riferimento agli artt. 42, l.fall., 1140, 1142, 1144, c.c., 125, c.p.p., 11, co. 6 e 7, Cost., in punto di mancato riconoscimento da parte del tribunale della qualità di terzo estraneo al reato di "Theoria E CO. Srl".

2.3. Il "Fallimento A.A. E C. Srl in liquidazione" e il "Fallimento Prima Comunicazione Group Srl", nel ricorso a firma dell'avv. Dell'Osso, lamentano: 1) violazione di legge in relazione agli artt. 321, co. 2, c.p.p. e 12-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, in quanto il tribunale del riesame, pur partendo dal dato, incontestato dalla ricorrente, che le disponibilità liquide presenti sul conto corrente di PCG sono state oggetto di confisca per valore equivalente, fonda la sua decisione sulla circostanza che l'anzidetta società non può considerarsi terzo estraneo al reato, profilo che, tuttavia, avrebbe avuto rilevanza solo ove si fosse trattato di confisca diretta e non di confisca per valore equivalente, senza tacere che nel caso in esame è mancato del tutto l'accertamento di uno dei presupposti necessari per affermare la confiscabilità delle somme di denaro di "PCG", ossia la prova della disponibilità da parte dell'indagato delle somme in questione, che, in ogni caso, è venuta meno con l'intervento del fallimento, in conseguenza del quale è venuta meno anche la sua delega a operare sul conto corrente intestato alla società.

Inoltre, rileva il ricorrente, la prevalenza degli interessi erariali affermata dal tribunale, nel caso della "PCG", va a tutelare i crediti erariali di una società diversa, quella nell'ambito della quale sono intervenuti i reati; 2) violazione di legge in relazione agli artt. 321, co. 2, c.p.p., e 12-bis, D.Lgs. n. 74 del 2000, con riferimento alla parte del provvedimento impugnato che ha ritenuto che il denaro sequestrato sul conto n. 1000/456635 di "GMC" fosse nella disponibilità di persona non estranea al reato, laddove difetta un legame diretto tra "GMC" e il conto corrente di cui si discute, che era destinato solo a soddisfare le esigenze della procedura concorsuale che per mero errore era stato aperto in capo alla "GMC".

Rileva, infine, la ricorrente l'infondatezza dell'assunto del tribunale, che ha riconosciuto la sussistenza del periculum sul presupposto che la restituzione delle somme in sequestro alla massa fallimentare, per consentirne l'impiego secondo le regole proprie del diritto fallimentare, dunque rispettando le cause legittime di prelazione, determinerebbe

un'irreversibile frustrazione delle ragioni della confisca, essendo impiegate per finalità diverse dal pagamento del debito erariale, con l'effetto paradossale di ritenere sempre presente un'esigenza anticipatoria della confisca laddove sia pendente una procedura concorsuale che imponga alla curatela di seguire l'ordine delle cause di prelazione nella soddisfazione dei creditori.

3. Con requisitoria scritta del 18.5.2023, da valere come memoria, perché nelle more è stata richiesta la trattazione in forma orale della proposta impugnazione, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. Luigi Cuomo, chiede che i ricorsi vengano rigettati.

4. I ricorsi vanno rigettati per le seguenti ragioni.

5. Infondati appaiono i motivi volti a contestare il mancato riconoscimento della prevalenza delle ragioni del fallimento rispetto a quelle assunte nell'interesse dell'Erario.

Come è noto nella giurisprudenza di legittimità, sul punto, era sorto un contrasto interpretativo.

Da un lato, infatti, si era affermato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, diretta o per equivalente, del profitto dei reati tributari, prevista dall'art. 12-bis, comma 1, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, prevale sui diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto del fallimento, attesa l'obbligatorietà della misura ablatoria alla cui salvaguardia il sequestro è finalizzato (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 3575 del 26/11/2021, Rv. 283761); dall'altro, si era sostenuto che la confisca del profitto dei reati tributari ex art. 12-bis D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non può essere ordinata con riguardo a beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento comporta il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestione dello stesso al fine di evitarne il depauperamento (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 11068 del 28/09/2021, Rv. 283763).

Persistendo il contrasto, è stata rimessa al giudizio delle Sezioni Unite Penali la questione di diritto se, in caso di dichiarazione di fallimento intervenuta anteriormente alla adozione di provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari e riguardante beni attratti alla massa fallimentare, come nel caso che ci occupa, l'avvenuto spossessamento del debitore erariale per effetto dell'apertura della procedura concorsuale osti al sequestro stesso, ovvero se, invece, il sequestro debba comunque prevalere attesa la obbligatorietà della confisca cui la misura cautelare è diretta.

Le Sezioni Unite hanno risolto la menzionata questione nel senso che l'avvio della procedura fallimentare non osta all'adozione o alla permanenza, ove già disposto, del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per reati tributari (cfr. Sez. U, n. 40797 del 22/06/2023, Rv. 285144), sancendo, dunque, la prevalenza delle ragioni sottese all'obbligatorietà della confisca, sui diritti di credito sorti in relazione ai beni oggetto della misura ablativa per effetto del fallimento. Risulta, in altri termini, sancito il principio secondo cui il rapporto tra il vincolo imposto dall'apertura della procedura concorsuale e quello discendente dal sequestro, avente ad oggetto un bene di cui sia obbligatoria la confisca, deve essere risolto a favore della seconda misura, prevalendo sull'interesse dei creditori.

E trova, altresì, conferma il principio affermato in altro condivisibile arresto, alla luce del quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto di un reato tributario può essere eseguito, ove questo sia stato commesso nell'interesse di una società dichiarata fallita, su beni societari compresi nell'attivo fallimentare, posto che la deprivazione dell'amministrazione e della disponibilità dei beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione dei creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude che il fallito ne conservi la titolarità sino al momento della vendita e che non assuma rilevanza, ai fini della confisca diretta, il criterio della disponibilità dei beni, ma quello, più ampio, della non estraneità rispetto al reato (cfr. Sez. 3, n. 5255 del 03/11/2022, Rv. 284068).

Appare, pertanto, conforme ai principi affermati dal richiamato arresto delle Sezioni Unite Penali, la decisione del giudice dell'impugnazione

cautelare secondo cui nel caso in esame deve ritenersi prevalente il vincolo imposto sulle somme, rispetto ai diritti di credito vantati sul medesimo bene per effetto del fallimento.

Come già evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità prima dell'intervento delle Sezioni Unite Penali, tale prevalenza incontra il solo limite dell'appartenenza dei beni a terzi estranei al reato, dovendosi intendere con siffatta locuzione, per costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il soggetto che non abbia ricavato vantaggi e utilità dal reato e che sia in buona fede, non potendo conoscere, con l'uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, l'utilizzo del bene per fini illeciti (cfr., ex plurimis, la già citata Sez. 3, n. 3575 del 26/11/2021, Rv. 283761, nonché Sez. 3, n. 34548 del 06/06/2023, Rv. 285207).

Anche su questo punto la decisione del tribunale del riesame risulta del tutto immune da vizi, posto che, come si è visto nelle pagine precedenti, il fulcro della decisione del giudice dell'impugnazione cautelare è rappresentato dall'avere considerato, sulla base di un ragionamento dotato di intrinseca coerenza logica, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità, le somme depositate sui conti correnti di cui si discute riconducibili alle società fallite, che non possono considerarsi soggetti terzi estranei ab origine al reato, in conseguenza dell'intervenuta dichiarazione di fallimento ovvero, per la "GMC", dell'ammissione al concordato preventivo, conformemente a quanto affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui in tema di confisca, la dichiarazione di fallimento dell'imputato non osta al provvedimento di confisca diretta o per equivalente, ai sensi dell'art. 12-bis D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, dei beni attratti alla massa fallimentare, non trattandosi di beni "appartenenti a persona estranea al reato" (cfr. Sez. 4, n. 864 del 03/12/2021, Rv. 282567).

Non va, peraltro, taciuto che la giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente precisato come il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, ex art. 12-bis D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, deve contenere la concisa

motivazione anche del "periculum in mora", da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablatorio rispetto alla definizione del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi la pericolosità alla mera natura obbligatoria della confisca, in assenza di previsioni di segno contrario (cfr. Sez. 3, n. 4920 del 23/11/2022, Rv. 284313).

Anche sotto questo profilo la motivazione dell'ordinanza impugnata deve ritersi tal da superare indenne il vaglio del giudizio di legittimità. Il giudice dell'impugnazione cautelare, infatti, correttamente richiamando un condivisibile orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, alla luce del quale, in tema di reati tributari, l'insinuazione al passivo del fallimento del contribuente da parte dell'Agenzia delle entrate per i crediti erariali riconducibili alle ipotesi delittuose contestate non integra l'ipotesi prevista dall'art. 12-bis, comma 2, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, secondo cui "la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario", atteso che "nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta", onde il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato ha ragione di permanere sino all'integrale pagamento dell'imposta evasa (cfr. Sez. 3, n. 26874 del 18/02/2021, Rv. 282326), ha correttamente sottolineato come l'anticipazione del vincolo reale rispetto all'eventuale pronuncia di una sentenza di condanna, trovi giustificazione nella necessità di assicurare la destinazione delle somme in sequestro al pagamento dei debiti in favore dell'Erario, che rischierebbero di rimanere inevasi, se, venuto meno il vincolo reale, si consentisse di destinare le somme in sequestro al pagamento degli altri creditori esistenti.

A fronte di tale coerente argomentare i rilievi difensivi, diversi da quelli già disattesi sulla base della recente sentenza delle Sezioni Unite Penali in precedenza citata, non possono essere accolti, non solo perché infondati, ma anche perché con essi vengono dedotte censure in punto di motivazione, non consentite in questa sede di legittimità.

Come è noto, infatti, il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, circostanza del tutto assente nel caso in esame (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Rv. 285608).

6. Al rigetto dei ricorsi, segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma il 12 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2024.